L’economia dell’Italia in questo 2019 continua a essere in una condizione critica.
L’Istat ha certificato che l’Italia dalla fine del 2018 è di nuovo in recessione e alla fine di febbraio di quest’anno ha segnalato anche un calo della fiducia dei consumatori, con il valore più basso da 18 mesi, e delle imprese, il più basso dal febbraio 2015.
L’Istat ha certificato che l’Italia dalla fine del 2018 è di nuovo in recessione e alla fine di febbraio di quest’anno ha segnalato anche un calo della fiducia dei consumatori, con il valore più basso da 18 mesi, e delle imprese, il più basso dal febbraio 2015. Il 6 marzo scorso l’Ocse ha comunicato che per tutto il 2019 il Pil in Italia resterà negativo, con un calo dello 0,2%. Il tasso di disoccupazione a gennaio è rimasto stabilmente alto al 10,5% e tra i giovani è aumentato di 0,3 punti percentuali rispetto a dicembre 2018, arrivando al 33%: si tratta di valori decisamente superiori alla media europea (scesa al 6,5% a gennaio, dal 6,6 di dicembre) ancora di più quella giovanile (al 14,9%) che in Europa è meno della metà di quella italiana, di nuovo in aumento.
Con lo studio presentato in questo Rapporto ci proponiamo di verificare se e come sarebbe possibile generare effetti economici e occupazionali positivi in Italia promuovendo misure di sviluppo con alcuni obiettivi strategici che affrontano emergenze ambientali non eludibili:
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la crisi climatica, quindi misure di sviluppo rapido e consistente delle fonti energetiche rinnovabili e misure incisive per ridurre i consumi di energia;
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il cambiamento di un modello lineare di economia non più sostenibile con un modello circolare; un miglioramento necessario della qualità delle città con un programma di rigenerazione urbana secondo il modello delle green city; la risoluzione dell’inquinamento e della congestione del traffico con una mobilità urbana sostenibile.
È possibile affrontare queste sfide ambientali trasformandole in opportunità di un nuovo tipo di sviluppo e di aumento dell’occupazione?
In questa nostra epoca nella quale la popolazione mondiale supera ormai i 7,5 miliardi e continua a crescere, persistono elevati consumi di energia fossile che stanno alimentando una gravissima crisi climatica e un consumo di risorse naturali superiori ai 94 miliardi di tonnellate all’anno: come mai è accaduto nella precedente storia dell’umanità, il futuro delle attività economiche e dell’occupazione dipende dalla qualità ecologica dello sviluppo. Se la crisi climatica ed ecologica dovesse continuare e aggravarsi ulteriormente, anche le sue ripercussioni sull’economia e sull’occupazione sarebbero molto gravi. Se ciò che comunque sarà necessario fare viene fatto ora, può diventare una formidabile spinta all’innovazione, a nuovi investimenti, a nuove attività o a incrementi e cambiamenti di attività già in corso: diventare quindi una concreta possibilità di nuovo sviluppo sostenibile e nuova occupazione.
In questo nuovo contesto vanno anche meglio chiarite le condizioni e le possibilità di aumento dell’occupazione.
Secondo l’Ilo (International labour organization, Organizzazione internazionale del lavoro), circa un terzo dei posti di lavoro nei Paesi del G20 dipende dalla qualità ambientale e delle risorse naturali. I cambiamenti climatici e altre crisi ecologiche hanno già impatti negativi sull’occupazione che si prevedono in peggioramento nei prossimi decenni.
La green economy al centro di un rilancio dell’economia e dell’occupazione
“Decent work and environmental sustainability must go hand in hand – diceva Guy Ryder, Direttore generale dell’Ilo nel giugno 2017 alla International labour conference – Un pianeta sano è una condizione necessaria per garantire un lavoro dignitoso, imprese produttive e mezzi di sussistenza sostenibili”.
Secondo il rapporto World Employment and Social Outlook 2018: Greening with Jobs, l’adozione di politiche di green economy potrebbe creare 24 milioni di posti di lavoro nel mondo entro il 2030. L’azione volta a limitare sotto i 2°C il riscaldamento globale permetterebbe la creazione di notevole occupazione: circa 3 milioni nelle Americhe, 14 milioni nella regione dell’Asia e del Pacifico e 2 milioni in Europa. Un aumento di gran lunga superiore alle riduzioni che si registrerebbero in alcuni Paesi produttori di petrolio e di carbone