I costi delle bonifiche ambientali spettano al proprietario del terreno
Chi paga i costi delle bonifiche ambientali? Secondo il CdS le spese per le bonifiche spetterebbero anche al proprietario incolpevole.
Chi lavora con progetti e costruzioni edili si è probabilmente confrontato, almeno una volta, con il problema delle bonifiche ambientali e dei costi di bonifica. Chi deve pagare le spese di una bonifica ambientale? L’attuale proprietario del terreno o il soggetto che ha realmente commesso il reato?
A fare chiarezza, speriamo una volta per tutte, è arrivata una recente sentenza del Consiglio Di Stato, la numero 2847 del 8 aprile 2021, con la quale si fanno ricondurre le responsabilità dell’illecito e i costi di bonifica ambientale da affrontare per bonificare un terreno al proprietario del terreno, anche se la causa dell’inquinamento non può direttamente essere ricondotta a lui.
Costi di bonifica ambientale: responsabilità del proprietario del terreno
Il CdS ha imputato al proprietario del terreno la responsabilità e i costi delle bonifiche ambientali, ragionando su un caso concreto in cui la Corte ha indicato come ammissibile un’ordinanza comunale che, “sulla base di accertamenti tecnici effettuati dall’azienda sanitaria locale” obbligava il proprietario del terreno, che si è opposto all’ordinanza, a sanare la situazione di degrado ambientale.
Qual è stato il ragionamento che ha portato il Consiglio di Stato ad obbligare il proprietario del terreno ad eseguire i lavori di bonifica ambientale?
Il caso osservato dai giudici del Consiglio di Stato verte su una precisa fattispecie. Il proprietario del terreno (che è stato obbligato a pagare i costi delle bonifiche ambientali) aveva affittato il terreno ad una società terza che sul sito aveva allestito una discarica di rifiuti in cambio della corresponsione di un canone d’affitto superiore al valore venale del bene.
Il canone superiore al valore del bene era stato quantificato in questo modo “in cambio” della previsione di una clausola che poneva l’onere del ripristino ambientale dopo la chiusura a carico del concedente.
Anni dopo, alla dismissione dell’attività della discarica, i rifiuti risultavano ancora presenti sul sito, all’interno di una vasca a cielo aperto. Le piogge e l’incuria avevano trasformato i rifiuti in liquame che per via di una pendenza del suole confluivano verso un vicino corso d’acqua, corso d’acqua che veniva utilizzato per irrigare i terreni.
Accertata sulla base di indagini tecniche degli uffici competenti effettuati dall’azienda sanitaria locale, il comune in cui è ubicato il terreno “con ordinanza contingibile e urgente ex articolo 50, dlgs 267/2000” ha intimato al proprietario del terreno di rimuovere i rifiuti e di sanare l’abuso. Intimazione che ha visto il netto rifiuto del proprietario del terreno e la conseguente sentenza del Consiglio di Stato.
Il CdS, nella sua sentenza, ha evidenziato come “il fenomeno di inquinamento delle acque, seppur riconducibile al mancato ripristino dei luoghi a seguito della dismissione della discarica, non possa essere fatto coincidere con tale momento poiché l’evento dannoso non è derivato dalla situazione dei terreni all’atto della cessazione dell’affitto quanto piuttosto dal loro mantenimento inalterato nel tempo senza l’adozione di accorgimenti per evitare il dilavamento dei materiali ivi presenti”.
Causa causae est causa causati
Quindi, seppure ritenendo valido il brocardo latino «causa causae est causa causati» il Consiglio di Stato riconosce in capo al gestore della discarica una responsabilità causale per gli effetti poi verificatisi, ma tale responsabilità non cambierebbe di una virgola la responsabilità del proprietario del terreno, sopratutto in considerazione del complesso di fattori che a distanza di anni hanno generato l’inquinamento rilevato dalle Autorità.