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Confprofessioni: un Paese di liberi professionisti

Presentato a Roma il Rapporto 2017 sulle libere professioni in Italia. Nonostante la crisi economica cresce il numero degli iscritti a un albo professionale: 1,4 milioni di professionisti che rappresentano il 5% della forza lavoro in Italia.

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L’Italia è il Paese con il maggior numero di liberi professionisti in Europa: solo quelli iscritti a un albo professionale superano la quota di 1,4 milioni e costituiscono il 5% delle forze lavoro in Italia e il 25% del complesso del lavoro indipendente. Nonostante gli anni della crisi economica del Paese, il settore delle libere professioni è infatti l’unico comparto a crescere nell’ambito del lavoro indipendente. In termini dimensionali, il nostro Paese conta 24 liberi professionisti ogni mille abitanti e il loro numero aumenta a un ritmo di oltre il 22%. Ogni anno, cioè, oltre 250 mila persone scelgono la strada della libera professione, che in Italia è diventata un vero e proprio “polmone” del mercato del lavoro confermandosi come un segmento “anticiclico” dell’occupazione.

È uno dei dati che emerge dal “Rapporto 2017 sulle libere professioni in Italia”, curato dall’Osservatorio libere professioni di Confprofessioni e presentato oggi a Roma durante il Congresso nazionale dei professionisti italiani, promosso dalla Confederazione italiana libere professioni, dal titolo “Il professionista 4.0 – L’evoluzione delle competenze tra normativa e mercato”. Secondo il sociologo e politologo Paolo Feltrin, che ha curato il Rapporto 2017 di Confprofessioni, «l’Italia sta percorrendo lo stesso sentiero evolutivo del resto dell’Europa, caratterizzato da una crescita sostenuta del numero di liberi professionisti, sia nelle professioni ordinistiche che nelle professioni non ordinistiche. Questa crescita è più accentuata nei Paesi e nelle regioni con il Pil più elevato».

L’indagine fotografa una realtà in continuo movimento, dove emergono profonde diversità territoriali, generazionali e reddituali. Un fenomeno accentuato dalle trasformazioni sociali del “ceto medio” e dall’intervento selettivo della più grave crisi economica dal dopoguerra a oggi. A livello regionale il divario territoriale è rilevante e sono le regioni del Nord a mostrare la maggior densità di professionisti: si passa da 30 professionisti per mille abitanti in Emilia Romagna a 14 in Calabria. Tra il 2009 e il 2015, osserva il Rapporto 2017 di Confprofessioni, il numero di liberi professionisti cresce con maggiore intensità in quelle economie regionali dove il Pil pro capite è maggiore.

Il Rapporto 2017 di Confprofessioni registra un marcato gap di genere, dove prevale la componente maschile: due terzi dei professionisti sono infatti uomini, mentre le donne costituiscono il 37% del collettivo al Centro Nord, percentuale che si riduce al 30% nelle regioni del Mezzogiorno. Sul fronte reddituale, tra il 2011 e il 2015 il fatturato complessivo dei liberi professionisti risulta in tendenziale crescita, così come il suo contributo sul Pil nazionale.

Nel 2015 i redditi medi per le principali professioni ordinistiche evidenziano, tuttavia, il persistere di un importante divario tra professioni: si passa dai 20 mila euro annui degli studi di psicologia ai 244 mila delle attività notarili (secondo i dati del Sose riferiti ai soggetti interessati dagli studi di settore). Un divario che comunque appare in calo a causa della significativa contrazione dei redditi medi delle professioni. «Il profondo processo di trasformazione sociale ed economico degli ultimi dieci anni, complice anche la più grave crisi economica dal dopoguerra a oggi, ha modificato radicalmente l’universo delle libere professioni, determinando una significativa stratificazione territoriale, generazionale e reddituale» commenta il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella. «Le profonde differenze tra Nord e Sud, il gap di genere e il “precariato” dei giovani, la significativa contrazione dei redditi (-20% in dieci anni) sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno socio-economico, spesso sottovalutato dalla politica ma che incide profondamente nei meccanismi della crescita economica e dell’occupazione del nostro Paese».

Il reddito medio nelle professioni ordinistiche si attesta oggi a 46 mila euro annui. Tra il 2006 e il 2015, le dinamiche reddituali sono dunque molto eterogenee. Se calano drasticamente i redditi di farmacie e studi notarili, crescono i ricavi per dentisti, studi medici, commercialisti e consulenti del lavoro. Il reddito medio si abbassa anche per gli studi legali, negli studi di ingegneria, mentre veterinari, periti e agronomi vedono accrescere con più intensità il reddito. Gli effetti della crisi economica che ha investito il Paese a partire dal 2008, si manifestano sulle professioni a scoppio ritardato: la crescita tendenziale registrata tra il 2006 e il 2010 s’inverte bruscamente tra il 2011 e il 2015, interessando in particolare ingegneri, architetti e le altre professioni coinvolte nella crisi dell’edilizia e nel blocco degli appalti pubblici.

Il divario di genere in termini reddituali varia molto a seconda delle diverse professioni e comunque penalizza la popolazione femminile. Tra i periti industriali e gli avvocati le donne guadagnano circa la metà dei colleghi maschi. Si riduce invece il gap reddituale tra i professionisti under 40 rispetto alle generazioni più mature. «Un dato positivo – sottolinea il Rapporto 2017 di Confprofessioni – che indica come il successo del libero professionista sul mercato vada a essere progressivamente meno determinato da vincoli e pregiudizi culturali».

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